Tra le colonne con Theo
Recensione di Giuseppe Maggiore
Ci sono incontri che testimoniano di un continuo lavoro su sé stessi. Quando questi si realizzano è un ri-conoscersi, ed è lì che avviene la Rivelazione dell’uomo all’uomo; l’evento epifanico che segna un punto di svolta verso la realizzazione del proprio Sé superiore.
Di questi incontri, assai rari, furono beneficiate le vite di certi santi, mistici e folli. Anime erranti vagano attraversando epoche e pluriuniversi, cercando, bramando, implorando… che cosa?
Mossi da un desiderio d’Assoluto, quel che cercano è forse la Luce della loro primigenia essenza. La perduta essenza, la perduta luce, la perduta casa è quel che van cercando.
Forgiati al fuoco di un divenire che sembra non arrestarsi mai, perennemente abitati dalla battaglia, inquieti, strambi, folli, disadattati o più banalmente controcorrente – se una corrente da seguire esiste – questi spiriti raminghi vivono (o muoiono) tra la pletora di effimere comparse che affolla questa nostra dimensione.
Taluni - solo una minima parte, in verità - sono stati chiamati santi, eroi, o illustri personaggi di una qualche branca dell’umano genio; tutti, comunque, definitivamente fatti fuori, neutralizzati, uccisi nelle chiese o nelle accademie,sepolti sotto mortiferi onori d’altare, epigrafi e solenni celebrazioni pubbliche.
Il loro vero messaggio era e resta per pochi, solo per quelle anime affini che, pur nella diversità dei rispettivi percorsi, condividono la stessa fondamentale ricerca.
Tra questi insoliti destini ci sono pochi e rari poeti, detentori di una lingua altra, riflesso di un sentire altro. Artigiani indefessi della parola, tesi a tradurre l’intraducibile – l’indicibile dire, un dire celeste che sublima, astrae, crea altre forme, altri mondi, altri sentimenti -, nella parola questi vivono il proprio agone, spesso intriso di sofferenza, strazio, lacrime e sangue. Il mondo visto dai loro occhi è un altro mondo; anche quando amano non si sa bene quale sia il vero oggetto del loro amore, il più delle volte sfuggente, muteiforme, indefinibile.
Può accadere che un poeta si collochi sullo stesso piano di un santo (o di un folle che dir si voglia): entrambi testimoniano l’urgenza di andare oltre il perimetro delle convenzioni sociali, oltre i limiti (apparentemente angusti) dell’umana condizione, oltre la stessa membrana dell’incarnazione, per penetrare il fitto mistero di cui siam fatti fino a tentare di plasmare, creare, rendere possibili nuove visioni e nuovi mondi.
Giungere a un superiore piano di comprensione e di realizzazione non è da tutti, e forse, non è nemmeno per tutti. Comprendere che ciò che chiamiamo amore è un desiderio d’assoluto che passa attraverso l’inganno dei sensi vestito di mille parvenze, è davvero per pochi, rarissimi spiriti.
Anche l’ignoranza dei molti, beata o volgare che sia, serve alla redenzione dei pochi. Il disincanto è condizione necessaria per intraprendere il vero Cammino, e quando si perviene a esso ecco che questo cammino ha luogo. Nel poeta come nel santo la parola si fa carne, sangue, fluidi corporei, benedizione e dannazione, senza più un dentro né un fuori, senza un prima né un dopo, senza nessun fine all’infuori dell’Essere dentro quel fuoco sacro che brucia, divora, trasforma, dissolve.
Fino alla parola Fine… se di fine si tratta.
È questo solo un piccolo abbozzo della lunga genesi dell’opera di Theo, racchiusa, ma non circoscritta, in queste pagine.
Forse qualche accorto lettore vorrà e saprà andare oltre la semplice lettura, oltre la suggestione generata dal linguaggio mistico, pregno di riferimenti simbolici, e al tempo stesso acceso di passione e sensualità che pervade queste pagine, cogliendovi l’enorme potenziale rivelatorio; e chissà.. riuscirà anche a farne, forse, scintilla per la propria Illuminazione. Come per ogni poeta che si rispetti, il culto della parola è sempre stato tra le prerogative di Theo.
La parola, non solo come strumento di espressione, ma di edificazione e di elevazione. Ciò lo ha sempre spinto a sviscerare il vocabolo, a volerne indagare la genesi, restituendogli i suoi primigeni significati o conferendogliene di nuovi.
A questo lavoro di ricerca, ma non di mera ricercatezza, si accompagna un solido impianto filosofico depositario di millenaria sapienza; una filosofia altra, di certo non ufficiale o accademica, premuta fino alla ultima goccia per farne questo distillato ibrido tra il poetico e il filosofico.
È grazie a questo sotteso e singolare lavoro che l’opera di Theo-Scalzo44, così densa di riferimenti a principi arcani, può, su un piano più alto rispetto a quello meramente letterario, costituire per il lettore l’opportunità a intraprendere un personale percorso di ricerca, atto a dischiudergli il messaggio velato e non accessibile a chiunque.
Diamo un primo input a questo possibile cammino che potremmo definire iniziatico, dicendo che tra le maglie di questi versi-contro-versi, i nomi dei destinatari, per quanto reali, contano nella misura in cui poté contare la presunta Silvia per Giacomo Leopardi, ossia molto poco. Valgono molto solo se visti come personificazioni di un ideale d’amore e di vita che trascende l’ordinario; soggetti, loro malgrado, al lavoro alchemico del poeta verso la definizione di un sentimento altro rispetto persino ai suoi stessi più appassionati pronunciamenti.
Io stesso, fissato tra questi nomi e versi, altro non mi percepisco se non come oggetto di una sublimazione. Ma forse è proprio questo il solo modo in cui si possa amare veramente qualcuno.
Amarlo attraverso i discorsi impronunciabili e gli amplessi irrealizzabili. Amarlo attraverso l’idolo che se ne fa. Amarlo soprattutto per quel che non potrà mai darti. E in Yasepha, nel florilegio d’azzurra poesia a lui rivolto, mi sono sentito compreso, amato e appagato come non mai.
È l’incontro, l’osmosi che si realizza e che ci trascende. Ed è ancora l’incontro tra Eros e Thanatos, intrecciati fino a formare quella corda annodata alla stella personale che facilita il transito tra il cosmo e il pianeta Terra.
Il tratto distintivo del poeta-filosofo Theo sta nel forte dinamismo di una instancabile curiosità che tutto scruta, indaga, sviscera e, soprattutto, nel segno della irriducibile duplicità (o molteplicità) dell’essere che abita la propria battaglia del divenire.
In questa battaglia agisce quella volontà che tutto può, tutto vuole, ma non sempre vi riesce; ed è qui che il poeta si traduce in versi che cantano e urlano sentimenti opposti di ascesi e dannazione, di illuminazione e di ottenebramento, con tutte le inevitabili lacerazioni che questo perenne dissidio interiore produce.
Queste pagine formano un unicum con quelle di altre sue opere, poiché tutto, nel cuore del poeta, avviene per diversi gradi nel segno della continuità.
Ancora una volta troviamo qui come altrove ciò che anche in altri paesi del mondo ha fatto riconoscere in Theo l'uomo che brama e persegue la saggezza del I shin den shin (以心伝心), ovvero l’uomo teso nella ricerca di quella sintesi perfetta che esprime il legame tra mente e cuore.
Nel sentire poetico di Theo-Scalzo44, infatti, mente e cuore non sono affatto due entità scisse, come è uso considerarle certo pensiero contemporaneo, ma entrambi si impongono come luogo di un incontro, di un’unione che muove all’azione, di un dialogo difficile ma necessario, quale è quello contenuto in ogni riga impressa su queste pagine.
